Evra e non solo, i giocatori cresciuti in povertà e ora ricchi grazie al calcio
"Prima di diventare un calciatore facevo l'elemosina e vendevo droga, io e i miei amici frugavamo nella spazzatura per mangiare i panini buttati dalla gente". La recente intervista di Evra alla BBC è solo l'ultimo dei racconti di un'infanzia vissuta in povertà e del calcio come via di salvezza. Tra i tantissimi precedenti, ecco alcune delle storie più incredibili
PATRICE EVRA - Della sua difficile infanzia ne ha parlato al programma BBC Freeze The Fear: "Prima di giocare a calcio chiedevo l'elemosina davanti ai negozi e vendevo droga. A volte a mezzanotte i McDonald's buttavano tutti i panini freddi, io e i miei amici frugavamo nella spazzatura per mangiarli". Poi il pallone, una lunghissima carriera, tantissimi trofei e il riscatto personale.
Chi come lui?
GABRIEL JESUS - La foto l'aveva postata lo stesso brasiliano del City su Twitter qualche anno fa: per il Mondiale casalingo del 2014 da ragazzino aveva aiutato a dipingere le strade di San Paolo. Un'infanzia in povertà, condizione comune tra i tantissimi brasiliani.
Oggi, nella periferia di San Paolo dove è cresciuto, c'è un murales gigante a lui dedicato. Da pittore ad opera d'arte.
ZLATAN IBRAHIMOVIC - "Puoi togliere il ragazzo da Rosengård. Ma mai Rosengård dal ragazzo" recita una scritta sul ponte di Annelund dove Ibra è cresciuto. La sua storia nasce da qui: Rosengård, sobborgo di Malmö, 28 lingue in 3 km quadrati, disoccupazione altissima.
"Eravamo in tanti a casa (…) e i soldi non bastavano mai - scriveva Zlatan nella sua prima autobiografia Io Ibra -. I più grandi si occupavano dei più piccoli, non ce la saremmo cavata altrimenti, e si mangiava della gran pasta con il ketchup oppure si andava a casa dei compagni o di mia zia Hanife, la sorella di mio padre".
RONALDINHO - Di umili origini, come noto, lo era anche il Pallone d'Oro 2005. Nato e cresciuto a Vila Nova, un barrio di Porto Alegre fondato dagli emigranti italiani a fine Ottocento. Povertà assoluta ma un grande futuro nel calcio davanti, immenso già da bambino, come in questo scatto postato su Instagram: "Buona giornata al bambino che c'è dentro di noi" scriveva.
ROMELU LUKAKU - La sua storia, Big Rom, la raccontò al Players' Tribune nel 2018: "Ricordo il momento esatto in cui ho capito che eravamo al verde. Avevo sei anni e tornavo a casa per pranzo durante la pausa scolastica. Mia mamma aveva ogni giorno la stessa cosa nel menu: pane e latte. Un giorno la vidi mescolare il latte con l'acqua: non avevamo abbastanza soldi per farlo durare tutta la settimana. Non eravamo solo poveri, ma al verde".
E ancora: "Quando tornavo a casa la sera le luci si spegnevano. Niente elettricità per due, tre settimane. Non c'era acqua calda per il bagno, mia madre la scaldava su un fornello. Ci sono stati anche momenti in cui ha dovuto 'prendere in prestito' il pane dalla panetteria in fondo alla strada".
RAHEEM STERLING - Nato in Giamaica, emigrato da piccolissimo in Inghilterra con la mamma. "Non avevamo molti soldi, lei lavorava come addetta alle pulizie in alcuni hotel per racimolare qualche extra - disse anche lui in un'intervista al Players' Tribune - Non dimenticherò mai di quando mi svegliavo alle cinque del mattino prima della scuola e di aiutarla a pulire i bagni dell'hotel a Stonebridge".
ALEKSANDAR MITROVIC - Col Fulham ha conquistato la terza promozione in Premier in cinque anni. Quest'anno segnando 41 gol. Nato e cresciuto a Smederevo, sponda est del Danubio. In una vecchia intervista al Telegraph aveva raccontato della sua infanzia difficile, tra povertà e criminalità: "Mio padre me lo ha sempre detto: se non fossi diventato un calciatore sarei ora un criminale, o un lottatore. Forse qualcosa in cui io potessi sfogare tutta la mia adrenalina".
JEREMY MENEZ - "Se non avessi avuto il calcio sarei finito in galera. Del resto, ci sono finiti un sacco di miei amici: furti, droga, quelle cose lì, ci caschi se sei giovane: vorresti tutto ma i soldi sono pochi" - disse nel 2014 alla Gazzetta.
TYRONE MINGS - Oggi gioca in Nazionale, su Transfermarkt vale 32 milioni, ma in passato era stato un senzatetto: "Era orribile, bagni e docce comuni, gente non proprio simpatica - aveva raccontato al Telegraph - Siamo stati quasi un anno in un dormitorio per senza tetto". Poi la gavetta, nel vero senso del termine, nelle serie più basse del calco inglese: ai tempi percorreva la città su una macchina con ruote dal colore diverso e freno a mano difettoso "mentre lavoravo in un pub e in un ufficio di consulenza per far quadrare i conti".
CARLOS TEVEZ - L'Apache di Fuerte Apache, Ciudadela, Buenos Aires, uno dei barrios più temuti del Paese (anche lui, lì, ha un murales dedicato). "Le condizioni erano pessime - raccontò nel 2011 al Daily Mail - non avevamo molto, era un quartiere davvero povero. Quando era buio e guardavi fuori dalla finestra, quello che vedevi avrebbe spaventato chiunque. Dopo un certo tempo non potevi più andare in strada. Non avevamo scarpe da calcio, usavamo una pallina da tennis rotta invece di un pallone".
DARWIN NUÑEZ - Gioca e segna tantissimo col Benfica, talentino classe 1999 con (anche lui) un'infanzia segnata dalla povertà nella poverissima Artigas, cittadina di quarantamila abitanti a 500km da Montevideo. "Tante volte sono andato a letto con lo stomaco vuoto" - aveva raccontato in un'intervista -, "ma quella che ci andava più spesso era mia madre, che lavorava per dare da mangiare prima di tutto a me e a mio fratello. Non lo dimenticherò mai".
LA STORIA DI DARWIN NUÑEZ
VICTOR OSIMHEN - Oggi segna col Napoli, ma la sua storia inizia per le strade di Olusosun, quartiere a nord di Lagos, in Nigeria, vicino a Oregun dove si trova la più grande discarica della città. Dalla discarica arrivano anche le sue prime scarpette da calcio, recuperate tra i rifiuti e sistemate dalle sorelle. Quando aveva solo sei anni aveva aiutato economicamente la famiglia vendendo acqua e bibite ai semafori.
LA STORIA DI OSIMHEN
NEYMAR - In un'intervista nel 2018, a El Primo Rico, il campione del Psg ricordò di quella volta in cui, realizzando che nella sua famiglia non ci si poteva permettere il lusso di un biscotto, promise a se stesso che un giorno sarebbe diventato un calciatore famoso per potersene permettere una fabbrica intera: "Mia mamma cercò di consolarmi, ancora oggi quando ricorda quell'episodio si mette a piangere".
MARCELO - Altro brasiliano, anche lui lo raccontò al Players' Tribune: "Ho otto anni, siamo senza soldi. La mia famiglia non può permettersi la benzina per portarmi agli allenamenti ogni giorno. Quindi mio nonno fa il sacrificio che cambia la mia vita: vende la sua vecchia Volkswagen e usa i soldi per i biglietti dell'autobus".
MARCELO DIVENTA BARBIERE DI RIO