“Honda, cambia numero!”: quanto pesa la 10 del Professore
Calcio"Bidone o non bidone?", questo è il problema. Il giapponese è stato scavalcato nelle gerarchie di Seedorf da Taarabt, ma attenzione ai giudizi affrettati. Anche Bergkamp, Henry e Vieira non furono compresi dal nostro calcio. E finirono all'Arsenal...
di Vanni Spinella
Difficile immaginare un esordio più difficile di così: a San Siro, dal primo minuto, con la maglia numero 10 del Milan sulle spalle. Forse è per questo motivo che il suo allenatore, all'epoca ancora Allegri, ha scelto di farlo esordire a Reggio Emilia, contro il Sassuolo, facendolo entrare a partita in corso.
Purtroppo per entrambi l’impatto non è stato più morbido. E il calcio italiano ha travolto Honda ribaltando le parti del copione. Sconfitta per 4-3 contro una matricola, il giovane e italiano Berardi che ruba la scena al giapponese (il cui esordio in rossonero diventa la seconda, se non la terza notizia), un 10 sulle spalle che inizia a pesare. Specialmente se dagli spalti i tuoi stessi tifosi ti chiedono di toglierti quella maglia (“Honda, cambia numero!”, l’impietosa richiesta in occasione di una punizione mal calibrata), appartenuta a gente come Rui Costa, Rivera, Savicevic, Boban e al Professor Seedorf.
Un piccolo riscatto (con gol) contro lo Spezia in Coppa Italia, ma non sono questi i palcoscenici che i tifosi usano per valutare i giocatori. E così si ricomincia a zoppicare in campionato. Sostituito da Birsa contro il Verona sullo 0-0 che non si schiodava, sufficiente contro il Cagliari, di nuovo male contro il Torino (sostituito nei minuti finali da Petagna), addirittura accantonato da Seedorf nella gara più importante, quella contro il Napoli, quando gli viene preferito Taarabt che all’esordio impiega 8’ a fare gol. “Honda, cambia numero”, tornano a mormorare i tifosi. “E la 10 lasciala a Taarabt”, avrà sicuramente pensato qualcun altro.
La pazienza dei samurai, però, si misura in situazioni come questa. Il calcio italiano impiega pochissimo a bocciare un “10” ritenuto non all’altezza, ma non tutti possono essere Baggio o Maradona. Al massimo Diego, inteso come il brasiliano Ribas da Cunha. Nel 2009, alla Juventus, gli fu risparmiata la richiesta di cambiare numero solo perché la 10 la onorava già Del Piero: così, dopo una stagione da incompreso, andò a farsi applaudire altrove (Wolfsburg, Atletico Madrid).
Altro 10 “virtuale” scaricato dal nostro campionato è Coutinho. Numeri da grande, ma l’Inter non ci crede fino in fondo. E adesso il Liverpool (che gli ha dato la 10) ringrazia.
Dennis Bergkamp fu il 10 “vero” dell’Inter per due stagioni: strapagato e stra-atteso, la San Siro nerazzurra non riuscì mai ad innamorarsene fino in fondo, complice una fragilità caratteriale che mal si sposava con il ruolo di leader cucitogli addosso dai tifosi. Servì la sua cessione all’Arsenal per assistere alla trasformazione dell’anatroccolo in cigno (non di Utrecht, ma comunque olandese). E sempre i Gunners furono i più svelti a capire che dietro a quello smilzo francesino che Ancelotti alla Juve relegava in fascia poteva celarsi un bomber da 175 reti in Premier: quasi un brocco in Italia, Thierry Henry esplode in Inghilterra.
Ancora l’Arsenal, infine, bussa alla porta della Serie A quando il Milan sta per bollare come bidone un lungagnone di 19 anni in apparenza pure sgraziato. A Londra nasce il mito di Vieira. Insomma, dovessimo scommettere sulla prossima destinazione di Honda non avremmo più dubbi. E già lo immaginiamo, alla sua prima conferenza stampa in Inghilterra, mettere le cose in chiaro così: “I’m not a bidon”.
Difficile immaginare un esordio più difficile di così: a San Siro, dal primo minuto, con la maglia numero 10 del Milan sulle spalle. Forse è per questo motivo che il suo allenatore, all'epoca ancora Allegri, ha scelto di farlo esordire a Reggio Emilia, contro il Sassuolo, facendolo entrare a partita in corso.
Purtroppo per entrambi l’impatto non è stato più morbido. E il calcio italiano ha travolto Honda ribaltando le parti del copione. Sconfitta per 4-3 contro una matricola, il giovane e italiano Berardi che ruba la scena al giapponese (il cui esordio in rossonero diventa la seconda, se non la terza notizia), un 10 sulle spalle che inizia a pesare. Specialmente se dagli spalti i tuoi stessi tifosi ti chiedono di toglierti quella maglia (“Honda, cambia numero!”, l’impietosa richiesta in occasione di una punizione mal calibrata), appartenuta a gente come Rui Costa, Rivera, Savicevic, Boban e al Professor Seedorf.
Un piccolo riscatto (con gol) contro lo Spezia in Coppa Italia, ma non sono questi i palcoscenici che i tifosi usano per valutare i giocatori. E così si ricomincia a zoppicare in campionato. Sostituito da Birsa contro il Verona sullo 0-0 che non si schiodava, sufficiente contro il Cagliari, di nuovo male contro il Torino (sostituito nei minuti finali da Petagna), addirittura accantonato da Seedorf nella gara più importante, quella contro il Napoli, quando gli viene preferito Taarabt che all’esordio impiega 8’ a fare gol. “Honda, cambia numero”, tornano a mormorare i tifosi. “E la 10 lasciala a Taarabt”, avrà sicuramente pensato qualcun altro.
La pazienza dei samurai, però, si misura in situazioni come questa. Il calcio italiano impiega pochissimo a bocciare un “10” ritenuto non all’altezza, ma non tutti possono essere Baggio o Maradona. Al massimo Diego, inteso come il brasiliano Ribas da Cunha. Nel 2009, alla Juventus, gli fu risparmiata la richiesta di cambiare numero solo perché la 10 la onorava già Del Piero: così, dopo una stagione da incompreso, andò a farsi applaudire altrove (Wolfsburg, Atletico Madrid).
Altro 10 “virtuale” scaricato dal nostro campionato è Coutinho. Numeri da grande, ma l’Inter non ci crede fino in fondo. E adesso il Liverpool (che gli ha dato la 10) ringrazia.
Dennis Bergkamp fu il 10 “vero” dell’Inter per due stagioni: strapagato e stra-atteso, la San Siro nerazzurra non riuscì mai ad innamorarsene fino in fondo, complice una fragilità caratteriale che mal si sposava con il ruolo di leader cucitogli addosso dai tifosi. Servì la sua cessione all’Arsenal per assistere alla trasformazione dell’anatroccolo in cigno (non di Utrecht, ma comunque olandese). E sempre i Gunners furono i più svelti a capire che dietro a quello smilzo francesino che Ancelotti alla Juve relegava in fascia poteva celarsi un bomber da 175 reti in Premier: quasi un brocco in Italia, Thierry Henry esplode in Inghilterra.
Ancora l’Arsenal, infine, bussa alla porta della Serie A quando il Milan sta per bollare come bidone un lungagnone di 19 anni in apparenza pure sgraziato. A Londra nasce il mito di Vieira. Insomma, dovessimo scommettere sulla prossima destinazione di Honda non avremmo più dubbi. E già lo immaginiamo, alla sua prima conferenza stampa in Inghilterra, mettere le cose in chiaro così: “I’m not a bidon”.