25 anni senza Gianni Brera, il giornalista che reinventò il linguaggio del calcio

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Il 19 dicembre 1992 moriva, a 73 anni, in seguito ad un incidente stradale, uno dei giornalisti sportivi più conosciuti del nostro Paese. Suoi tanti neologismi che fanno ancora parte del calcistico: dai soprannomi come "Abatino", "Bonimba" e "Rombo di tuono" a espressioni come "fare pretattica", Derby d'Italia", ma anche la dea del calcio "Eupalla"

"Dopo minuti di melina arriva il forcing finale: disimpegno del centrocampista che serve Rombo di tuono, il goleador sfrutta la palla gol e incorna uccellando il portiere". Se non fosse mai nato Gianni Brera, di questa frase rimarrebbe soltanto "Dopo minuti di arriva il finale: del che serve sfrutta la portiere". Il resto delle parole che completano e danno un senso alle righe precedenti sono invenzioni del celebre giornalista, scrittore e linguista nato a San Zenone al Po. Nessuno più di lui ha saputo personalizzare il linguaggio del calcio: i suoi neologismi, le sue espressioni e i suoi soprannomi sono ancora attuali e alcuni di questi sono entrati a far parte del dizionario della lingua italiana. Tuttavia, non sempre fu apprezzato e non mancarono neppure scontri con alcuni grandi protagonisti della nostra Serie A come Gianni Rivera o Arrigo Sacchi. Loro furono tra le "vittime" della personale interpretazione che Brera aveva di questo sport. Una visione legata alle radici più profonde, o per certi versi antiquate, del calcio "all'italiana". 

Abatino, Rombo di tuono, Bonimba

Se oggi ci sono il "Pipita", la "Joya" e tanti altri soprannomi, prevalentemente di origine sudamericana e prestati dalla lingua spagnola, che spopolano tra i calciatori della nostra Serie A, negli anni ’60 e ’70 c’era una sola persona capace di rendere immortali i nomignoli dei fuoriclasse di quei tempi: Gianni Brera. Così, dalla sua penna, nacquero "Abatino" (Gianni Rivera), “Rombo di tuono” (Gigi Riva) e "Bonimba" (Roberto Boninsegna). Il fantasista del Milan, in realtà, non gradì mai il soprannome che gli aveva affibbiato il giornalista lombardo.  Definendolo "Abatino", infatti, voleva enfatizzare la fragile eleganza del numero 10 rossonero. Un piccolo abate, appunto, senza eccessi fuori dal campo e con poca presenza fisica sul rettangolo verde: stiloso, così tanto da sembrare quasi finto. Va da sé che Rivera non amò questo soprannome, anche perché la sua carriera ha risposto per lui. Molto più positivo, invece, l’appellativo che Brera diede ad un altro campione del calcio italiano di quegli anni: Gigi Riva. L’ex centravanti del Cagliari era e sarà poi per sempre "Rombo di tuono" per via della potenza e del suo sinistro. Piede mancino che utilizzava prevalentemente anche Roberto Boninsegna, per tutti "Bonimba", grazie alla fantasia di Brera, ovviamente. Il linguista lombardo spiegò a lui stesso il perché di questo soprannome: "Perché hai il culo basso e quando corri mi ricordi Bagonghi, un nano da circo". "Bonimba", infatti, altro non era che la crasi tra il cognome dell’attaccante e il termine, piuttosto inusuale, con cui si definivano i nani che lavoravano nei circhi e che veniva utilizzato anche come aggettivo per descrivere, appunto, un uomo piccolo e sgraziato. 

Così Brera ha cambiato il linguaggio del calcio

Quantificare e analizzare uno per uno tutti i termini, le espressioni e i neologismi che Gianni Brera ha regalato al linguaggio calcistico non è semplice. Ognuno di questi ha una sua genesi più o meno aneddotica che meriterebbe di essere raccontata. Basti pensare a parole come "centrocampista" o "goleador" che al giorno d’oggi sembrano nate con il gioco stesso del calcio ma che in realtà sono di invenzioni da attribuire proprio a Gianni Brera. Oltre a queste, tantissime altre quali "pretattica", "cursore", "disimpegno", ma anche "Derby d’Italia" per indicare Juventus-Inter e "centravanti atipico" con cui era solito qualificare quei giocatori schierati in attacco ma che in realtà non avevano le caratteristiche fisiche e tecniche degli attaccanti puri. Concetto attualissimo, peraltro. Brera inventò persino una divinità del pallone, perché uno sport così non poteva non avere una dea di riferimento che lui chiamò Eupalla e che definì come "La dea che presiede alle vicende del calcio ma soprattutto, del bel gioco (dal greco Eu “bene”). Una divinità benevola che assiste pazientemente alle goffe scarponerie dei bipedi". 
Gianni Rivera, che con l'omonimo Brera non ebbe mai un rapporto idilliaco, disse di lui che "Era troppo più bravo e più grande degli altri". Magari lo stesso giornalista non gli avrebbe dato ragione, ma è innegabile che dopo tanto tempo il gergo calcistico "sfrutta" ancora la sua capacità linguistica e il suo talento. In fondo basta leggere, ascoltare o pronunciare una qualsiasi frase legata al mondo del pallone per ricordarsi Gianni Brera.