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Iniesta ma non solo: quelli che avrebbero meritato il Pallone d’Oro

Calcio

Vanni Spinella

Don Andrés saluta il Barcellona con la bacheca piena. Gli manca solo quel riconoscimento individuale che, come lui, avrebbero meritato tanti altri. Sviste storiche, campioni sfortunati e geni inspiegabilmente mai considerati

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“Scusa, don Andrés, errore nostro: forse il Pallone d’Oro l’avresti meritato anche tu”. L’ammissione di colpa di France Football, diffusa tramite un editoriale del direttore del giornale che assegna il premio, ha scatenato un piccolo dibattito. Non solo tra la gente. E io, allora? Non prendiamoci in giro: quanti altri giocatori, più o meno legittimamente, lo avranno pensato? Quanti altri lo avrebbero meritato? Quello, o per lo meno un editoriale di scuse...

Quanti ne avrebbero vinti Pelé e Maradona?

L’albo d’oro di France Football presenta delle lacune spaventose per il semplice fatto che, prima del 1995, premiava soltanto i giocatori europei: primo extraeuropeo a vincerlo fu, proprio in quell’anno, il liberiano George Weah. Ecco spiegata dunque l’assenza di alcuni monumenti del calcio mondiale, da Pelé e Maradona, ovviamente, a Garrincha. Lo stesso France Football tentò di rimediare alla clamorosa “svista” con un articolo retrospettivo, pubblicato in occasione del 60° anniversario del premio, in cui si provava a ipotizzare come sarebbe cambiata la storia se i giocatori extraeuropei fossero stati in corsa per il Pallone d’Oro anche prima del 1995. Risultò che Pelé probabilmente ne avrebbe dovuti vincere 7, tra il 1958 e il 1970 (anni in cui segnò due Mondiali), Maradona un paio (sicuramente quello del 1986 al posto del sovietico Belanov e probabilmente quello del 1990), Garrincha (1962) e Romario (1994, al posto di Stoichkov che lo vinse davanti a Baggio) uno a testa. Insomma, la questione extraeuropei prima del 1995 l’hanno già sistemata loro, con un rattoppo. Veniamo però agli altri errori clamorosi…

In mancanza del Pallone d’Oro, un artista svizzero si è limitato a farli santi

Le "sviste" più clamorose

Dal 1956, anno in cui fu consegnato il primo Pallone d’Oro a Stanley Matthews, a oggi, la lista dei piazzati che però avrebbero meritato il gradino più alto del podio è lunga. Partiamo da Puskas, uno dei più grandi attaccanti della storia che nel 1960 dovette accontentarsi di un argento alle spalle di Luisito Suarez. In quell’anno il formidabile ungherese del Real Madrid aveva lasciato il segno nella finale di Coppa dei Campioni contro l’Eintracht Francoforte con 4 gol nel 7-3 finale. Per non parlare di tutti gli altri messi a segno in stagione (47 in 36 partite) o nell’arco di una carriera (244 in 264 partite solo nei suoi 8 anni al Real). Numeri che fanno spavento, ma che non bastarono. Il contentino arrivò molti anni dopo anche per lui, nel 2009, con l’istituzione del premio che fa da corollario al Pallone d’Oro eleggendo il gol più bello dell’anno, e che porta il suo nome, il Ferenc Puskas Award.

Ma scorrendo la lista dei secondi troviamo anche Gigi Riva (secondo nel 1969 e terzo nel 1970), Franco Baresi (secondo nell’89), Henry (secondo nel 2003, terzo nel 2006), Raul (secondo nel 2001 dietro a Owen). Nessuno si sarebbe scandalizzato a vederli sul gradino più alto. Nel caso di Baresi, in occasione della sua partita di addio e circondato da leggende come lui, fu il presidente Berlusconi a rimediare consegnandogli un Pallone d’Oro alla carriera, “per colmare l’unico vuoto rimasto in una bacheca stracarica di trofei”.

Campioni alle spalle dei marziani

Restando in casa rossonera, fa altrettanto rumore l’assenza di uno come Paolo Maldini dall’elenco dei vincitori. Solo terzo nel 1994 (dopo Stoichkov e Baggio) e di nuovo a 9 anni di distanza, nel 2003 (dietro a Nedved e Henry), clamoroso esempio di continuità. Discorso leggermente diverso per Frank Rijkaard. Il suo caso, così come quello di Xavi, lo faremmo rientrare nella categoria degli “sfortunati storici”, cioè di quei campioni indiscutibili che hanno avuto la sfortuna di capitare in un’epoca segnata da un altro fenomeno, peraltro anche amico e compagno di squadra. Rijkaard, colonna del Milan di Sacchi, arrivò terzo nell’88 e nell’89, anni in cui il Milan mise sul podio tre dei suoi: nell’88 in particolare fu un fiorire di tulipani, con Van Basten primo, Gullit secondo (ma già vincitore l’anno prima) e Rijkaard loro valletto.

Scenario simile per Xavi, terzo per tre anni di fila (2009, 2010, 2011) e dietro a due compagni di squadra (podio tutto del Barcellona con Messi e Iniesta) nel secondo caso. Senza Messi e Cristiano Ronaldo, probabilmente, un paio di quei Palloni sarebbero sulle mensole di casa Xavi, a quest’ora.

A Rijkaard, terzo dei 3 olandesi, non viene permesso nemmeno di toccarlo, il Pallone d’Oro

Quel discutibile premio nel 2010

La cannibalizzazione del premio da parte dei due fenomeni dell’era moderna (gli ultimi 10 se li sono spartiti loro, 5 a testa) ha fatto anche altre vittime, perché se è vero che il 2010 è l’anno a cui si riferiscono le scuse a Iniesta (che vinse un Mondiale, il primo nella storia per la Spagna, segnando il gol decisivo in finale), in quella stessa edizione furono totalmente dimenticati due come Diego Milito (due gol decisivi nella finale di Champions e protagonista assoluto dell’anno del Triplete interista) e Wesley Sneijder (triplete anche per lui, capocannoniere al Mondiale e trascinatore dell’Olanda, finalista a sorpresa). Il Messi più “normale” di sempre sbaragliò la concorrenza, alimentando l’antico dibattito: il Pallone d’Oro è una fotografia del più forte giocatore in assoluto in quel preciso momento o premia quello che si è maggiormente distinto in quella stagione? Proprio nel 2010 si decise di cambiare strada, prendendo la prima via: e Iniesta, ma non solo, ne furono le vittime.

La sfortuna di fare il portiere

Di sicuro, poi, tra le categorie più sfortunate c’è quella dei portieri. Difficile che le loro giocate rubino l’occhio dei giudici; raro che si riconduca alle loro parate la conquista di un trofeo. Per cui, sia che si elegga il più forte in assoluto sia che si premi il più vincente dell’anno, i portieri possono solo accontentarsi di sfiorarlo, il Pallone d’Oro. Anche perché se non l’ha vinto Buffon nel 2006 dopo il Mondiale con l’Italia (premiato un altro pezzo del muro di Berlino, Fabio Cannavaro), è difficile immaginare da qui ai prossimi anni un altro numero 1 in grado di farcela. Arrivò secondo anche Zoff (nel 1973), bene anche la scuola tedesca, con Kahn (2001 e 2002) e Neuer (2014) terzi. L’unico in grado di agguantarlo fu Yashin, nel 1963.

Fantasia non al potere

Tornando alle vere dimenticanze, però, meriterebbe delle scuse stile Iniesta un’intera categoria, quella dei fantasisti italiani. L’estro di Roberto Baggio ebbe il suo legittimo riconoscimento nel 1993, prima ancora (1969) era stata la volta di Rivera; ma la nostra terra ha prodotto fior di campioni che, inspiegabilmente, non si sono mai avvicinati nemmeno al podio del Pallone d’Oro. Uno su tutti, Andrea Pirlo, ingegnere del calcio che possiamo mettere tranquillamente allo stesso livello di Iniesta: forse solo un giorno ci renderemo conto di quanto abbia cambiato questo sport. Ma poi anche Alessandro Del Piero (nel 1996, anno di Sammer, forse…) o Francesco Totti, uno che probabilmente, se non fosse stato fedele alla maglia giallorossa, avrebbe vinto Pallone d’Oro e anche qualche coppa in più. Tra gli italiani premiati c’è invece Paolo Rossi, nell’anno del “suo” Mondiale, il 1982. Pesarono i suoi gol, ma qualcuno avrebbe dovuto tener conto anche degli assist. Quell’anno forse l’avrebbe meritato più di tutti Bruno Conti: avesse potuto scegliere lui, glielo avrebbe consegnato anche Pelè, l’uomo dei 7 Palloni d’Oro fantasma.