Mourinho racconta Inter-Barcellona 2010: "Così fermammo Guardiola e Messi"

Calcio

Vanni Spinella

Ventidue pedine in campo e via con i ricordi: a "The Coaches' Voice", lo Special One racconta come preparò la mitica semifinale di Champions contro i blaugrana che spalancò all'Inter le porte della finale. Dalla gabbia attorno a Messi al gol di Maicon, una vera e propria lezione di tattica

Una notte, quella notte, rimasta nel cuore dei tifosi interisti. Il 20 aprile 2010 i nerazzurri battono 3-1 a San Siro il Barcellona di Guardiola (ma anche di Messi e dell’ex Ibrahimovic) nella semifinale d’andata di Champions. Un risultato su cui costruiranno l’accesso alla finale (il Barça vinse 1-0 il ritorno al Camp Nou, ma fallì la “remuntada”), poi vinta contro il Bayern Monaco con la doppietta di Diego Milito.

Ecco perché, forse ancor più della finale, quella partita resta nella memoria collettiva interista la gara che in pratica consegnò la Champions ai nerazzurri. Un capolavoro tattico che, a distanza di anni, viene spiegato dal suo stesso ideatore, José Mourinho, al sito “The Coaches’ Voice”. Una riproduzione del campo e 22 semplici pedine, e lo Special One parte con i ricordi e con la sua lezione di tattica.

La "gabbia" attorno a Messi

Inevitabilmente si comincia con gli 11 eroi di quella sera e la loro disposizione in campo: l’Inter si schierava con il 4-2-3-1 con Julio Cesar in porta, difesa composta da Maicon, Lucio, Samuel, Zanetti, mediana con Thiago Motta e Cambiasso, Sneijder trequartista con Eto’o e Pandev larghi ai suoi fianchi, Milito in attacco, e sull’impiego di Pandev c’è già la prima curiosità svelata. Mourinho infatti gli chiede un grande lavoro anche in fase di copertura, dovendo agire sulla fascia in cui avanzerà Dani Alves. Così come era stata preparata con cura maniacale la situazione in cui Messi, partendo dalla destra, si sarebbe accentrato proprio per liberare la corsia ad Alves o per andare a inventare per conto suo.

Chi prende chi, in questi casi? Ecco che Mou svela allora come fu costruita la “gabbia” attorno alla Pulce, con Zanetti, Thiago Motta e Cambiasso ai quali veniva chiesto di non lasciargli spazio. Grande densità nella zona in cui agiva e responsabilità della sua “marcatura” estesa a tutti (simpatico il momento in cui Mou, snocciolando la formazione del Barcellona, finge per un attimo di non ricordare il nome dell’ultimo giocatore… Messi, appunto). Sull’altra corsia c’è da fare attenzione alle scorribande di un altro terzino molto abile in fase di spinta (meno in quella di recupero, sottolinea Mourinho), l’ex Maxwell, ma sulla leggenda del “terzino” Eto’o e della sua capacità di sacrificarsi è già stato detto e scritto tutto.

Come arriva il gol di Maicon

Un blocco compatto e “basso”, quello interista, ma pronto a “lasciare a loro la palla” (erano i tempi del tiqui-taca) ma senza per questo concedere occasioni, cosa che richiede una particolare “forza mentale”. A questo punto però Mourinho svela anche la seconda parte del piano: la strategia per colpirli. Trattandosi della gara d’andata in casa, l’Inter sapeva di dover tentare di vincere, e così la gara era stata impostata in modo da far uscire il Barcellona e colpirlo poi in velocità andando a conquistare quegli spazi lasciati scoperti proprio da Dani Alves e Maxwell, spesso non solo alti, ma anche larghissimi. Con “giocatori molto veloci” come Maicon (“assolutamente fenomenale quella notte”) e gente “con la mentalità giusta”, l’Inter puntava a sorprendere Piqué e Puyol lasciati soli dai compagni e maggiormente esposti, passando dal “blocco arretrato” alle ripartenze con tre, quattro o cinque uomini. Il secondo gol (segnato da Maicon) è il manifesto della tattica di quella sera, quello che meglio sintetizza la voglia dei giocatori interisti di arrivare per primi in quegli spazi cruciali, in poche parole il piano di Mou che, evidentemente, “ha funzionato”, come ricorda lui sorridendo ancora oggi.