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Buffon: "Orgoglioso del mio ruolo in Nazionale. Ora gli Europei"

a "sette"

Oggi capo delegazione della Nazionale, Gigi Buffon si racconta in un'intervista a "Sette": l'amore per il calcio fin da bambino, la prima squadra che non credette in lui come portiere, la "folgorazione" per il Camerun a Italia '90. E poi gli obiettivi futuri: "Ho portato la Coppa dell'Europeo sul palco ai sorteggi ma ero a disagio: io non avevo fatto niente..."

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Dai primi calci al pallone (e non da portiere) al bacio alla Coppa del Mondo nel 2006, fino all’ultima esperienza, da capo delegazione dell’Italia, con cui è rimasto nel mondo del calcio, che vive con lo stesso entusiasmo di quando, da bambino, imparava a memoria la formazione del Camerun 1990 o seguiva le avventure in A di Pisa, Pescara, Como, Cesena o Avellino. Gigi Buffon, 46 anni il prossimo 28 gennaio, si è raccontato in una lunga intervista a “Sette”, il settimanale del "Corriere della Sera", ripercorrendo una vita che ha iniziato a ruotare fin da subito attorno al pallone.

Gli inizi da libero, scartato come portiere

“Avevo 6 anni, giocavo in una società di La Spezia, il Canaletto, perché mio padre allenava la prima squadra. Ero centrocampista o libero. L’emozione di quando mi diedero il sacco con la tuta fu incredibile. Passavo giornate intere a sfogliare gli album delle figurine, studiavo la storia dei giocatori, delle squadre… Poi mio padre andò via e mi spostai alla Perticata, a Carrara, che era affiliata all’Inter”. Per “l’ingresso” tra i pali, però, c’è ancora da attendere: è il 1990 quando Gigi resta folgorato da N’Kono, mitico portiere del Camerun: “Faceva uscite di pugno respingendo per 30-40 metri, era un artista. Se poi sommiamo che mi era capitato, mancando il portiere, di andare in porta facendo prestazioni non male… Alla ripresa del campionato, decisi di mettermi tra i pali”. Non alla Perticata, però, che non credette in lui in quel ruolo: “Se si saranno pentiti? Probabilmente tante volte, però li capisco..”.

Parma, Juve... Pisa (da papà)

È l’inizio di una carriera in discesa: l’esordio da giovanissimo col Parma, il trasferimento da record alla Juventus, le vittorie in bianconero, il Mondiale con l’Italia, il ritorno nel “suo” Parma per chiudere il cerchio a fine carriera e iniziare a vedere il calcio anche da papà: “Luis, il più grande (che ha come secondo nome Thomas, omaggio a N’Kono; ndr) ora gioca a calcio nel Pisa. È in convitto e sono felice che faccia questa esperienza: io sono andato via di casa a 13 anni, per me è stata un’occasione formativa unica. David invece al CBS, una squadra di Torino affiliata al Milan. Mentre Leopoldo sta facendo sport: gioca a basket, ogni tanto prova il calcio, ma se volesse fare anche tennis, pallanuoto o pallavolo lo porteremmo a fare anche quello. Lo sport è fondamentale, mi sono accorto che le persone che hanno fatto sport accettano anche le 'sconfitte', non hanno paura di misurarsi con gli altri”.

Obiettivo Europei

Un corso da direttore sportivo già completato, un altro che inizierà alla Bocconi in business administration, il ruolo di capo delegazione della Nazionale che gli consente di essere anche una guida per i più giovani, senza evitare temi delicati come quello delle scommesse che ha coinvolto gli Azzurri Tonali e Zaniolo proprio quando erano in ritiro a Coverciano: “Credo sia sbagliato criminalizzare e non fare dei distinguo. La ludopatia non è un problema di quanto spendi, ma del tempo che dedichi a questa attività, e questo dobbiamo spiegarlo ai ragazzi. Non mi piacciono i bacchettoni che giudicano con una superficialità aberrante senza sapere poi realmente quali siano le motivazioni. Ci sono passato anche io venendo infangato senza aver commesso nulla: quando le cose si chiariscono, ci si dimentica di spiegare e chiedere scusa e si lasciano le persone con un’etichetta addosso”. Il futuro? Se i guantoni sono un pensiero lontano ("Felice di aver smesso: mi sto dedicando a tanti interessi ai quali ho dovuto rinunciare per questa vita da calciatore così totalizzante"), quello di "agguantare" l'Europeo al seguito dell'Italia non lo è, anzi: "Sono orgoglioso del mio ruolo: cerco di non far rimpiangere Vialli senza scimmiottarlo. Quella coppa l’ho portata sul palco qualche settimana fa per i sorteggi, e devo dire che un momento di disagio così forte non l’avevo mai provato. Rappresentavo i ragazzi vittoriosi a Wembley: io non avevo fatto niente, il merito era tutto loro. Mi piace mostrarmi con le cose che ho meritato e guadagnato".