Maschere, caschi e bende: quando l'accessorio diventa icona
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La maschera di Osimhen è ovunque dai caffè alle torte, passando per interi menù dedicati. Peccato l'abbia persa in Nigeria... Un simbolo come il caschetto di Cech, la fascia al polso di Benzema, le bende blu di Balotelli. E poi gli accessori che hanno fatto moda, non necessari, comunque icone: i portieri col cappellino, le righe nere sotto gli occhi del turco Rustu e la maglia dell'Arsenal di Vieira
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- È accaduto durante l'ultima pausa delle Nazionali, mascherina portafortuna smarrita in Nigeria da Victor Osimhen. Già, proprio l'accessorio che ha accompagnato valanghe di gol del centravanti azzurro. I consulenti del Napoli si sono messi al lavoro per realizzarne una nuova, ma difficilmente faranno in tempo per domenica contro il Milan. Quando il nigeriano dovrà utilizzare quella di riserva, ovvero la prima adottata dopo l'infortunio...
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- Perché una maschera, inevitabilmente, è sinonimo di supereroe. Di quelli ammirati dai bimbi, idoli che sfrecciano nella notte, velati da quel mistero che affascina un po' tutti. Per Osimhen la necessità è diventata icona - frattura scomposta a zigomo e orbita nel novembre 2021 contro l'Inter -, un dettaglio in più. Un simbolo da fumetto, di quelli letti di notte accanto a una piccola lucina, con un oh di meraviglia disegnato sul volto. Lui, Osimhen, ha giurato che continuerà a tenerla anche per i tifosi.
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- E quindi uova di Pasqua, pizze, torte, il caffè a immagine e somiglianza del bomber del campionato. Tutto l'amore di Napoli.
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- Meno partite da eroi mascherati, ma recenti. Dopo un colpo a Verona in questo girone di ritorno, anche l'inglese ha indossato la maschera protettiva. Così come il laziale dopo l'operazione al naso. Nel derby entrambi avevano già tolto la protezione.
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- Un volto può essere più noto con che senza maschera? Sì, se sei Zorro o se la tua esplosione nel grande calcio combacia con un viso coperto. Per esempio giocando un grande Mondiale, affrontato con la Croazia proprio a patto di tamponare così una frattura al naso.
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- Una storia dietro la maschera. Maldini la utilizzò nei quarti di Champions 2002-03 contro l'Ajax, dopo un tremendo scontro con l'amico Vieri in un derby di campionato. Da una diretta social in pandemia:
"Tu Bobo sai benissimo che il calcio è uno sport di contatto, e infatti una volta mi hai rotto il naso…"
"Mi è dispiaciuto tantissimo, credimi, ma se non l'avessi fatto non avrei mai segnato. Infatti dopo 3 minuti ho fatto gol"
"Neanche la memoria ti è rimasta… abbiamo vinto noi 1-0"
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- Anche scherzandoci su, come quando il suo alter ego virtuale di FIFA indossava il caschetto anche nelle animazioni extra campo. "Qui c'è qualcosa che non va - scriveva lui su Twitter -, io avrei indossato una cravatta…"
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- Nel 2010 toccò a Chivu, dopo uno scontro fortuito con Pellissier. Trauma cranico e operazione, con ritorno due mesi e mezzo dopo. Col casco e un piccolo tocco particolare: spesso, sotto il mento, l'allacciatura era slacciata. Anche così vincerà il triplete da protagonista.
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- Quello che viene definito un grande classico. Non una semplice fasciatura, ma una dichiarazione di intenti. Il turbante fasciato a bordocampo, velocemente, per rientrare subito. Perché la squadra ha bisogno, perché non ci si tira mai indietro, su nessun pallone. La maglia nera, bianca ma anche un po' rossa.
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- Una grande tradizione, dall'acqua (due titoli Mondiali) al calcio, lì solo sfiorati. Non a caso, tra i tifosi croati spiccano sempre bandiere, maglie ma anche calottine. Come quella indossata da Corluka a Euro 2016 proprio per coprire un turbante alla Chiellini.
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- Che sembravano occhiali da sole, ma erano un'invenzione di un'azienda giapponese in grado di migliorare la vista e i riflessi. Sommer e i suoi colleghi svizzeri li avevano indossati durante gli allenamenti di Euro 2020. Risultato? I quarti di finale, non male…
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- Ma perché sudava anche prima dell'inizio delle partite? E perché quelle dell'Arsenal erano (quasi) tutte così? Fu il francese a lanciare una piccola icona: non era tessuto bagnato, ma Vicks VapoRub, spalmato sul petto come si faceva da bambini prima di andare a letto durante un brutto raffreddore. Per respirare meglio e, quindi, giocare meglio.
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- Un simbolo che ha attaversato i tempi. C'erano quelle sottili sottili di inizio anni Duemila, quando i calciatori avevano i capelli lunghi.
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- Quella larga, alla Gervinho, che cambiò stile alla Roma dopo un primissimo (e rivedibile) look visto in Francia e all'Arsenal…
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- Ma prima di tutto (e tutti) c'era Socrates, il dottore. Calciatore laureato in medicina. Intelligenza e cultura rara, capitano del Brasile tra anni Settanta e Ottanta. Fondatore, in un periodo di dittatura in patria, della Democrazia Cornithiana, un sistema fatto di votazioni, assemblee e libertà di parola dove ogni decisione del club - dalla più piccola alla più grande - veniva presa per alzata di mano. Più di una semplice fascetta, non mancavano mai messaggi di pace: giustizia, no al terrorismo, no alla violenza.
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- Una combo rara ma non rarissima. Apparentemente, più per guerrieri del campo come Mandzukic e Diego Costa
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- Altro classico anni Novanta, da Pagliuca a Taibi. Un po' rétro, come quando i portieri di inizio Novecento non indossavano i guanti ma il cappello, quello, sempre. Anche un po' americano, dal baseball. E infatti Zenga - foto a destra - se lo girava al contrario nei suoi anni in America. Ma ovviamente, anche un po' Benjamin Price.
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- Usati da tantissimi, Adriano uno dei più celebri. Perché ad ognuno, il proprio accessorio.