È stato Napoleone e Indiana Jones, leone e gorilla, in un paio di occasioni anche Benjamin Button. Ibra ama gli accostamenti ad effetto, quando parla di sè. Sempre con grande modestia
Non ce la fa proprio, Zlatan Ibrahimovic, a non regalare un titolo già confezionato ogni volta che apre bocca. La sua specialità sono i grandi paragoni, tra se stesso ovviamente – sempre al centro dell’universo – e qualsiasi cosa gli ispiri un senso di grandezza, diciamo pure immortalità senza timore di esagerare. Per una vita si è paragonato a Dio, sotto ogni forma; ha tirato in ballo personaggi storici come Napoleone e altri di fantasia, ma sempre protagonisti di avventure impossibili; non ha disdegnato l’associazione con animali feroci.
«Sono come Benjamin Button»
Appena sbarcato a Los Angeles ha rispolverato il vecchio parallelo con il protagonista del racconto di Francis Scott Fitzgerald (poi diventato un film con Brad Pitt), quello del “curioso caso” di un uomo che nasce già anziano e trascorre la vita ringiovanendo, percorrendo tutte le fasi (infanzia, fanciullezza, adolescenza, maturità) al contrario, con tutte le difficoltà che potete facilmente immaginare. Il messaggio di Ibrahimovic è chiaro: anziché invecchiare, io divento sempre più giovane, col passare degli anni. E dunque sempre più forte.
I più attenti avranno notato che non si tratta di un paragone inedito, per Zlatan: lo aveva già tirato fuori quasi un anno fa (aprile 2017), dopo un gol segnato con la maglia del Manchester United nella vittoria per 3-0 contro il Sunderland. Era il periodo in cui sembrava che l’Ibra rifiorito potesse veramente essere il trascinatore, l’uomo in più dei Red Devils di Mourinho, staccati in classifica in campionato ma in corsa per l’Europa League (poi effettivamente vinta, ma con Ibra in stampelle). «Sono nato vecchio e morirò giovane», «Sembra che più invecchio e più divento intelligente», altre perle lanciate in quell’occasione. Un anno dopo, con un anno in meno rispetto a tutte le persone comuni, rieccolo nei panni del giovane/vecchio Benjamin.
«Sono come il buon vino»
Il tema dell’invecchiamento che fa miracoli è una fissa per Zlatan. Sempre allo United (dicembre 2016), dopo una doppietta al West Brom, dichiarò: «Ho 35 anni ma me ne sento 20: sono un perfetto esempio di vino rosso», similitudine che aveva già utilizzato in Francia, certo di trovare intenditori capaci di cogliere la portata del paragone. Nell’ottobre del 2015, infatti, da attaccante del Psg, aveva già detto di sé: «Sono come il vino buono, più invecchio e più miglioro». Per poi aggiungere, con la consueta modestia: «Sono sempre più forte, niente mi può fermare». Cosa lo rendeva tanto sicuro? Il fresco record di gol stabilito con la maglia del club di Parigi (110), tra i quali scelse quello segnato di tacco contro il Bastia. «Anche se penso che in quel caso la mia esultanza sia stata ancora più bella. Saltando i cartelloni pubblicitari sono inciampato e caduto, sparendo ad un tratto». Sono come David Copperfield?
«Sono come Napoleone»
A Parigi era stato Re (al suo arrivo) e poi Leggenda (al momento di salutare), arrivato allo United si fece Imperatore. «Come Napoleone in Europa, ho conquistato tutti i Paesi dove sono andato», disse forte delle campagne vincenti in Olanda, Italia, Spagna e Francia. «Ho sempre il coraggio di accettare nuove sfide, è stato bello giocare al Psg, ma questo è il passato, oggi è un nuovo capitolo e cerco di ricreare la stessa sensazione». Poi la buttò lì, giusto per dimostrare che i suoi piani erano ancora più ambiziosi di quelli di Napoleone: «In futuro potrei anche andare dall'altra parte dell'Atlantico e conquistare gli Stati Uniti».
«Sono come un leone»
Un “Napo” in meno, resta comunque il “leone”: la mania di grandezza è sempre la stessa. Anche questa appena sentita, «Il leone ha ancora fame», ha annunciato appena sbarcato a Los Angeles. Non vede l’ora che gli aprano la gabbia e lo mandino in campo per sbranare gli avversari. O i compagni, se necessario: la prima volta in cui Ibra si era sentito leone, infatti, aveva mostrato le fauci al resto dello spogliatoio dei Red Devils, ruggendo «Sono un leone in una squadra di gattini» ad aprile del 2017, quando le cose in casa United non andavano come aveva immaginato al momento della firma. «Quando sei parte di una squadra vuoi sempre fare qualcosa di utile - aggiunse -, al momento non ci sono riuscito, sento molta responsabilità e pressione su di me. Ma non sono venuto qui per perdere tempo». Io leone, voi micetti: l’accusa ai compagni, rei di aspettare di essere trascinati, senza dare una zampa. Rimise la criniera due mesi dopo, il 1° giugno 2017, a 40 giorni dall’infortunio al ginocchio (nella gara contro l’Anderlecht) che sembrava aver messo a rischio la sua carriera. «Improbabile che possa giocare ancora», si era detto in Inghilterra: lui posta su Instagram un video in cui palleggia a piedi nudi su un prato, accompagnato dalla sua personalissima spiegazione: «Il tocco non scomparirà mai. I leoni non recuperano come gli umani».
Nel frattempo ha da poco completato un’opera gigantesca sulla sua schiena, dove si è fatto tatuare un maxi-leone, mescolato con altri simboli di ogni tipo: il “Five Deva Faces Yantra” buddhista (che protegge da malattie e pericoli), una piuma d’aquila (forza e coraggio), l’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci (perfezione).
«Sono come King Kong»
Anche le scimmie extra-large, evidentemente, hanno tempi di recupero a noi sconosciuti. Luglio 2017: un Ibrahimovic ancora alle prese con la riabilitazione dopo l’infortunio torna protagonista su Instagram con una combo che non ha bisogno di spiegazioni. Lui aggiunge ugualmente una didascalia: “King e Kong”.
«Sono come Indiana Jones»
A febbraio del 2017 la tripletta al Saint-Etienne (in Europa League, con la maglia del Manchester United) lo gasa al punto da fargli indossare i panni di Indiana Jones, l’archeologo esploratore ideato da George Lucas e interpretato da Harrison Ford, protagonista di missioni complicatissime. «Per me ogni premio è importante, quindi se riuscirò a vincere qui sarò molto contento. Chi mi conosce sa che ho giocato in molte squadre e che cerco sempre di fare del mio meglio. Ho vinto ovunque, quindi sono come Indiana Jones». Sentite anche voi la musichetta?
«Sono come Dio»
Ci si potrebbe scrivere una Bibbia, con tutte le volte che Ibrahimovic si è avvicinato al Regno dei Cieli. In modo sempre scherzoso, cercando di non urtare la sensibilità di nessuno, ma restituendoci sempre una netta sensazione: che lui, in fondo, un po' ci credesse sul serio. Zlatan è credente, seguace di una religione che lo pone al centro di tutte le cose, e al tempo stesso divinità che ama essere adorata. Ai suoi fedeli chiede solo di fidarsi, con lui in squadra i risultati arriveranno. Tra i momenti-clou della sua miracolosa carriera, tramandati come parabole, la volta in cui chiese a Carlo Ancelotti se credesse in Gesù Cristo ("Sì", la risposta. "Allora credi in me, e rilassati", disse Ibra), quella in cui promise che avrebbe camminato sulle acque, la creazione del mondo di Manchester, il patto con il diavolo in una celebre raffigurazione su Instagram. Domani è Pasqua: c'è grande attesa per ciò che potrebbe combinare.